(presso Shanghai) e Feng-Tai (presso Pechino); furono
poi trasferiti in Manciuria ed in Corea. Nel luglio del
1945 furono definitivamente trasferiti in Giappone
(assieme ad americani, inglesi e norvegesi) e ripartiti
nei campi di prigionia di Omori, Ofuna, Shinagawa,
Denon-che-fu, Komanai, Kawasaki, Nishin e Warabi
(tutti compresi tra Tokio e Yokohama), dove rimasero
fino alla f ine della guerra. Il 30.8.1945 furono infatti
imbarcati sulla nave ospedale U. S.S. Benevolence che li
trasportò prima a Okinawa e poi a Manila; qui arriva-
rono in 75 in quanto, nel frattempo, si erano aggiunti
quelli provenienti da altri campi.
Alla fine di ottobre furono ancora trasferiti a Honolulu,
in un campo per prigionieri italiani, dove rimasero fino
al gennaio del 1946, quando furono imbarcati per
Napoli, via Panama.
Le suddette notizie, tratte dai testi pubblicati
dall'Uff icio Storico della Marina Militare, contrastano
in parte con altre che si ricavano invece dal “Bollettino
d'informazione sui prigionieri di guerra” edito dal
Governo italiano nell'aprile del 1946. In tale Bollettino
si legge infatti che a quella data sono ancora 276 i pri-
gionieri italiani in Cina e precisamente: 184 del
Battaglione “San Marco”, 70 della nave Lepanto, 18
della nave Carlotto e 4 della nave Calitea. Nel numero
sono pertanto compresi gli equipaggi delle navi (o una
parte di essi) che, in base a quanto sopra, dovevano
invece aver seguito la sorte di coloro che erano rimasti
fedeli al Re. Evidentemente, una parte degli equipaggi
aveva subito un trattamento diverso. Si può inoltre
osservare che questi uomini, essendo ancora in Cina
nell'aprile del 1946, non avevano beneficiato dell'ini-
ziativa promossa dal nostro Governo il quale, nell'otto-
bre del 1945, aveva inviato la nave Eritrea a fare un
giro di recupero del personale italiano disperso in quel-
lo scacchiere.
In ogni caso, dal confronto delle suddette notizie si rile-
va che coloro che aderirono alla R.S.I. rimasero in E.O.
un po' più a lungo di quelli che invece furono subito
imprigionati. Di loro si sa che non furono certo mante-
nuti in armi ma che furono invece adibiti a lavori di
manovalanza nei cantieri navali, ecc.
Dal gennaio 1944 i giapponesi considerarono questi
nostri militari come civili all'estero di un paese amico;
come tali, liberi di andarsene. Qualcuno ci provò
riuscendo a sistemarsi in Cina e ad arrivare alla f ine
della guerra.
Dal punto di vista politico nel 1944 ci fu anche la
rinuncia alle Concessioni italiane in Cina. Secondo gli
impegni derivanti dalle alleanze, già nel gennaio del
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Fig. 46 - Telegramma come il precedente, da Tien-Tsin ad Albissola (Sv), giunto in data 18.8.1943.
pm 93.qxp
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